Gli allenatori, le prime teste a cadere

Gli allenatori, le prime teste a cadere

Il frequente cambio di allenatore, nel campionato italiano e non solo, sembra  ormai diventata una consuetudine. Se il gioco non piace, i risultati non arrivano, il gruppo non è unito e motivato, i tifosi non soddisfatti, la prima testa a cadere sembra essere proprio quella dell’allenatore.

Non esiste credo una stagione calcistica in cui uno di loro non sia stato esonerato, con giusto motivo talvolta, altre volte meno. L’esonero è frutto spesso del desiderio e della voglia di ottenere tutto e subito, non si dà più quel tempo necessario per far crescere una squadra, costruirla. Tuttavia la necessità dei risultati e del fatturato che incombono sulla società come una spada di Damocle, spesso comportano errori di valutazione, di programmazione e di acquisti di mercato.

Infatti il mercato estivo spesso viene stravolto da quello di riparazione di gennaio, la rosa dei giocatori  riformata,  obbligando gli allenatori ad un riassetto organizzativo di gioco. Nelle compravendite di giocatori di gennaio infatti è capitato sovente di effettuare scelte sbagliate, non in sintonia con il modulo e il gioco dell’allenatore. Vero quindi che il colpevole non è sempre solo lui, l’allenatore.

È altrettanto vero però che certi allenatori farebbero meglio a dimettersi loro prima di venire esonerati, riconoscendo i propri limiti. I presidenti padroni, visti ultimamente, hanno reso la vita degli allenatori certamente più difficile, limitandoli molto nelle scelte di acquisto e coadiuvandoli e indirizzandoli negli allenamenti, nell’ individuazione degli schemi tattici eccetera… La collaborazione tra loro resa quindi sempre più complicata, alla fine la scissione sembra quasi obbligata.

Fonte: ITA sport Press

Allenatori come Ferguson e Wenger rimasti sulle panchine di Manchester City e Arsenal per vent’anni, sembrano ormai figure estinte. Sia l’uno che l’altro hanno superato momenti difficilissimi, contestazioni di giocatori, stampa e tifosi, grazie all’ausilio della società che hanno sostenuto sempre gli allenatori quando tutti chiedevano la loro testa. Eppure oggi lo stesso Wenger in un documentario “Arsene Wenger: invincibile”,  si lascia andare una confessione, confessione inaspettata quanto incredula per molti. “Avrei dovuto accettare una delle tante destinazioni che mi avevano proposto nel corso degli anni, invece sono rimasto sempre all’Arsenal. È stato un errore… amavo troppo il luogo e  il club. Mi sono identificato con la società, con i tifosi… e questo ha finito per penalizzarmi“. Sorge spontanea dunque la domanda se è un bene o un male sostare tanti anni sulla stessa panchina.

Comunque al di là del punto di vista di Wenger e volendo metterci in quella invece della dirigenza delle società, nella scelta di un allenatore si guarda ad una guida tecnica e si costruisce la squadra intorno alla sua idea di calcio; bisogna saper dare il tempo giusto alle scelte perché diano risposte proficue, valide. La fretta si dice sia una cattiva consigliera.

Cosa sarebbe infatti accaduto all’Atalanta se nel 2006 avesse deciso di cacciare Gasperini dopo le sconfitte iniziali e con un solo punto in campionato fatto contro il Crotone? Cosa sarebbe accaduta alla storia del Manchester City se avessero esonerato Ferguson colpevole di aver impiegato troppo tempo, tre anni, per il primo trofeo vinto? Ironia della sorte a Ferguson  il contratto gli fu rinnovato pochi giorni dopo la sconfitta 5-1 nel derby, tale e tanta la fiducia nei suoi confronti.

Quella di portare pazienza non sembra un’idea condivisa dalle società e sicuramente non dalla dirigenza del Watford, che dal 2008 ad oggi, tra cacciati e richiamati, sono stati 20 gli allenatori che si sono alternati sulla propria panchina Garcia, Mckinlay, Jokanovic. Dal 2012 sotto la guida del patron dell’Udinese, tale alternanza è continuata anche con gli allenatori italiani, Zola, Sannino e Mazzarri, tutti resistiti poco più di un anno. L’ultimo arrivato è Claudio Ranieri, che non ha iniziato benissimo, ma che ha al suo attivo la vittoria contro l’Everton che ha segnato una sorta di primato…reggerà?

Oggi però data la situazione economica che sta vivendo il mondo calcistico, la decisione di esonerare un allenatore non può e non deve essere presa con tanta facilità, le società non possono avere a stipendio molto dipendenti. Se si pensa che, negli ultimi cinque anni, la Serie A resta la Lega meno paziente tra i principali campionati europei, ben 44 allenatore esonerati di cui 13 sono nel campionato 2019/20, seguono la Liga spagnola con 43, la Bundesliga 40, la Ligue 1 38 e la Premier 34…beh c’è davvero da rabbrividire.

Eppure l’attuale campionato sembra voler proseguire sulla stessa scia d’onda, già quattro squadre hanno cambiato allenatori, Verona, Cagliari, Salernitana e Genoa. Le prime due solo dopo tre giornate di campionato, segnale evidente che qualcosa non è andato già nella formulazione del progetto societario. Tre giornate per classificare un fallimento sono senza dubbio poche.

In Brasile la federazione non ha voluto incorrere in un tale via vai di allenatori, approvando una regola che costringe al massimo ad un esonero a stagione; in caso di un secondo cambio, il nuovo allenatore deve essere obbligatoriamente scelto tra i tesserati già del club da almeno sei mesi. Limitazione questa che servirebbe senza dubbio ai campionati sudamericani, dove le teste degli allenatori cadono soventemente.

In Bolivia, Calixto Santos Javier, presidente del Real Potosi, ha esonerato 20 allenatori in cinque anni; in Perù il Cusco ha  alternato sulla propria panchina 16 allenatori sempre in cinque anni, ma il record assoluto lo detiene il Torquay United che ha sostituito l’allenatore Leroy Rosenior, dopo solo 10 minuti, presentato e licenziato nello stesso giorno, il 17 maggio 2007… ha dell’incredibile!

Serve davvero, è fondamentale cambiare l’allenatore? Piuttosto servirebbero progetti costruiti a dovere, fondamenta solide, scelte ponderate. Gli allenatori e i giocatori hanno un costo notevole per le società e con la crisi attuale del mondo del calcio, la cosa diventa pesante e insostenibile. I deficit delle società impongono le  dovute attenzioni.

Francesca Tripaldelli

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